2003
Dalla particolarità dell'etica hacker alla generale etica del Copyleft
Dalla particolarità dell'etica hacker alla generale etica del Copyleft
Dove questa generalità è la constatazione delle sue radici millenarie e dove si auspica che tali radici costituiscano il fondamento di un albero che offra nuovi frutti.
Se ci si propone di portare avanti una ricerca sull’etica hacker tentando di individuarne la natura e le determinazioni speculative non si può fare a meno di considerare quanto il fenomeno sia ancora ben lontano dall'essere maturo e compiuto.
Chiunque tenti questa impresa incapperà senza dubbio nella figura di Steven Levy, l'hacker che per primo, nel 1961 ha parlato di etica hacker; le sue 5 asserzioni sono ormai roba da manuale.

Tutta l'informazione deve essere libera.
Dubitare dell'autorità. Promuovere il decentramento.
Gli hacker dovranno essere giudicati per il loro operato, e non sulla base di falsi criteri quali ceto, età, razza o posizione sociale.
Con un computer puoi creare arte.
I computer possono cambiare la vita in meglio.

Ciò che balza subito agli occhi nella lettura di queste parole, considerate quasi universalmente il cuore dell' "etica hacker", è il fatto di come tali asserzioni siano una semplice enumerazione di precetti particolari: qualcosa quindi di ben diverso e lontano dalla natura "generale" di un sistema etico.
Accanto a questa "pecca" ne appare ben chiara un'altra: le asserzioni sono offerte per quello che sono, non si articolano in un logos, non sono il risultato di un processo "disvelatore", di una "ricerca", sono date "as is" e come tali devono essere accettate: niente di più metodologicamente impraticabile.
Questa è infatti la prassi delle religioni e dei catechismi.
La "comprensione" di un qualcosa, la sua "spiegazione" è il condurre ciò che non è immediatamente concepito,ciò che non è immediatamente noto a qualcos'altro che invece è già stato acquisito e riconosciuto (ogni dimostrazione segue questo schema, ivi compresa l'attività "persuasiva" di chi si propone la speculazione etica).
Questo appunto qui non accade.
Tralasciando queste considerazioni generali.
L'asserzione "con un computer puoi creare arte" non ha natura ne etica ne morale: è l'espressione di una convinzione o, volendo, la constatazione di un fatto: equivale, a livello speculativo, all'asserzione "con i mattoni puoi costruire un muro".
I muratori non hanno mai preteso di fondare un etica in virtù di considerazioni simili.
Stessa cosa si dica per la quinta asserzione, anche le lavatrici possono cambiare la vita in meglio...ma non esiste l'equivalente di Richard Stallmann nell'ambito delle lavandaie.

Fatto questo semiserio preambolo dichiaro le mie tesi:
1) Non esiste ancora un etica hacker speculativamente compiuta
2) L'etica hacker si include in un fenomeno di maggiore e più generale portata: il Copyleft; si parlerà perciò di etica del Copyleft
3) Tale "fenomeno speculativo" include l'esigenza di determinarne la natura filosofica
4) La determinazione speculativa del Copyleft è il presupposto necessario della sua determinazione legale (Ogni legislazione è la trasposizione sociale di un sistema di convinzioni...a meno che non sia, e capita, la trasposizione legale di un'esigenza di impunità di chi la determina)
5) La determinazione legale del Copyleft è una necessità sociale e politica e, allo stato attuale delle cose, è improcrastinabile.

Il Copyleft:
Il modello della distribuzione "Copyleft" è esistito storicamente per millenni.
Non dobbiamo perciò "inventarci niente": gli si deve solo dare uno statuto legale coerente affinché chiunque sia da subito posto nella condizione di distribuire le proprie opere secondo un modello legale alternativo al Copyright.
La libera circolazione dei testi, la possibilità di copiarli, rimaneggiarli, citarli, e purtroppo anche di plagiarli, è un fenomeno che ha riguardato tutto il corso della storia fino al secolo scorso.
La filologia esiste perché la cultura si è diffusa in questa maniera.
Questo modello, forti delle tecnologie attuali, deve essere ripreso e corretto: esse saranno di ausilio nello scongiurare la triste pratica del plagio.
Per il resto il modello è da riprendere del tutto.
A livello speculativo il Copyleft è fondato dal concepire le opere di ingegno anzitutto come beni comuni, il diritto d'autore è subordinato al diritto comune.
Tale subordinazione non implica la negazione all'individuo della fruizione economica del proprio lavoro, è bensì aspetto fondamentale del Copyleft la tutela dell'autore e la volontà di svincolare la sua creatività dallo sfruttamento da parte di terzi del suo lavoro: il Copyright, malgrado l'apparenza, non è questo.
Il Copyleft non è il concepire lo sviluppo del sapere come qualcosa di impersonale, di totalmente svincolato dall'attività creativa del singolo: è bensì il concepire l'esistenza di ogni produzione intellettuale, dall'opera poetica al software, come impossibile d'esistenza autonoma; essa non è non può essere mai "causa sui", deriva sempre da qualcosa che in ultima istanza implica lo sviluppo dell'intero spirito umano.
Il Copyleft dovrebbe essere anzitutto la trasposizione a livello legislativo di tale concetto.
Per fare un esempio: un hard disk è, in ultima analisi, una ruota: nella sua esistenza è implicato il nostro comune e sconosciuto progenitore che per primo ne ha concepito l'idea.
Un software, in ultima istanza, è un sistema di segni: è implicato nella sua esistenza il nostro comune e sconosciuto antenato che primo incise cunei su una tavoletta d'argilla.
Perciò accanto all'idea di cooperazione sociale (della quale parla Pekka Himanen) occorrerà parlare di "causalità dialettica". (Per chiarire: non posso parlare di metempsicosi senza avere una previa idea di anima...perciò continuando scherzosamente: l'implementazione del "software metempsicosi" è "causalmente" subordinato dall'implementazione del "software anima". Quindi l'autore della "metempsicosi" non potrebbe pretendere un monopolio dello sfruttamento economico della sua invenzione, appunto perché non è soltanto sua: se è giusto che ne tragga vantaggio economico tale vantaggio non deve ledere o impedire chi intende utilizzare e sviluppare il software "metempsicosi" nella distribuzione "reincarnazione")
Per concludere: il Copyleft non può più essere una semplice “moda”, considerati i discutibilissimi sviluppi della legislazioni occidentali (EUDC ad esempio) occorre affrettarsi in una stesura dello stesso internazionalmente riconosciuta. (O meglio: appoggiata e sostenuta dalle comunità affinché i governi siano forzati a tenerne conto)
La palese volontà poi di brevettare l'imbrevettabile (il genoma umano) richiede una impellente determinazione di tale struttura legale: nell'ambito della biologia e della genetica il Copyright dovrà essere infatti abbandonato del tutto, pena la barbarie.
Senza la determinazione e il riconoscimento del Copyleft ciò è chiaramente impossibile.